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…DREAMING CALIFORNIA…

“Il deserto, quello che si attraversa per andare dalla contea di Los Angeles a Las Vegas, meglio noto come “Golf Devil”. Ti dà la sensazione di stare dentro ad un forno che continua a soffiare aria calda senza darti respiro. L’aria è secca. La vista è disarmante e sembra non esserci via d’uscita: ti giri, ti guardi intorno e il disorientamento è immediato e percettibile. Paradossalmente claustrofobico. Il paesaggio è composto da montagne rigate dai sedimenti millenari, dune, rocce dagli strani colori, polverose trombe d’aria. Questa è la cosa spettacolare: si vedono cose che non esistono.
Da lontano sembra che sulla strada ci siano pozzanghere. Da vicino non c’è nulla. L’atmosfera è inquietante. Per ore e ore si viaggia in una sterminata distesa desertica di cui non si vede mai la fine. E succede di continuo, tra uno sbalzo in fondo al cuore e l’altro.

Las Vegas si trova in mezzo al nulla, la si riconosce perché già a centinaia di chilometri si vede una luce pazzesca che irrompe nel cielo. Pazzesca e pazza. Allucinante e allucinata. Surreale ed esagerata. Sì, soprattutto esagerata. È uno di quei posti in cui ci si trova all’improvviso e si resta storditi. Non è come la si immagina e come la si potrebbe immaginare. Di notte a Las Vegas la vita esplode. Al tramonto l’adrenalina comincia a sentirsi e percepirsi nell’aria.

Il tempo non risponde alle leggi della natura. Difficile dire se sia mattina, notte, giorno, ieri o domani.
Ogni cosa a Las Vegas sembra un gioco assurdo o una bugia colossale che tutti si raccontano col sorriso. L’impressione è di trovarsi in un enorme set cinematografico con scenografie credibili quanto la vita stessa.

L’Hotel Paris finge di essere Parigi con tanto di cielo finto e atmosfere francesi. Puoi fare colazione sotto la Torre Eiffel e rinfrescarti con un drink a bordo piscina, servito gentilmente da una ragazza bionda dal sorriso smagliante.

Il Caesar Palace trascina nell’antica Roma con statue romane e un piccolo Colosseo. Fuori dal Bellagio Hotel ogni quarto d’ora un’enorme fontana fa zampillare acqua a tempo di musica. E dentro all’hotel ci si trova catapultati in un sogno allucinato. Le ballerine si muovono sicure sui tavoli da gioco. L’americano tipico che viene dal North Caroline, con camicia a quadri, birra e pancia prorompente. Il texano con tanto di cappello e foulard al collo. Il business manager, direttamente dal Financial District di Manhattan che tra una riunione e l’altra si spara due numeri alla roulette.

Las Vegas è evasione e come dicono qui “What happens in Vegas, stays in Vegas”.

Grand Canyon. È natura primordiale che ti sbatte in faccia la sua grandezza. È un’affermazione di potenza verso l’uomo per dimostrare chi comanda. Da Eagle Point, il punto sud della fossa creata dal fiume Colorado, le rocce sembrano comporre la scultura di un’aquila. In quei sassi rossi ci sono sei milioni di anni. Le gambe tremano quasi per lo stupore, gli occhi si riempiono di colori mai neppure immaginati.  Un luogo dell’immaginazione, forse. Non ci sono barriere e protezioni. La sensazione che si prova è quella di essere perennemente sul ciglio di un burrone, come quando hai paura di cadere, hai l’adrenalina che si fionda tutta sui piedi per cercare di farti rimanere salda sul terreno.
Poco distante dal Grand Canyon, c’è una cittadina chiamata Flagstaff. E’la più grande città del nord dell’Arizona e un buon punto di ristoro per le visite ai parchi.
Sembra di essere in un film anni 70. Gli uomini con la camicia a quadretti e gli stivali fino al polpaccio, con zaini e casse di birra sul dorso. Qui hai davvero la sensazione di sentirti in America.

Dopo essersi immersi in paesaggi strani e straordinari ed aver attraversato deserti e strade isolate, non si può non visitare San Francisco Dicono che sia la città che agli europei piace sempre di più, perché è simile a quelle del Vecchio Mondo. E qualcosa che le ricorda c’è, anche se, come per qualsiasi cosa in America, è di misura extra large. La città è divisa in quartieri e ogni quartiere è fantastico e originale a modo suo. A San Francisco, puoi essere quello che vuoi quando vuoi. Castro. L’epicentro dell’attivismo LGBT della nazione dà il benvenuto a persone di ogni estrazione sociale. Persone che sono libere di essere chi vogliono, auto rosa cipria e teatri stracolmi di gente sorridente, giovani eccentrici che ballano sugli autobus, gente che ride..ride sempre. Casette azzurre, gialle, viola, su strade che hanno dislivelli incredibili.
A Financial District si percepisce la serietà. Alti palazzi specchiati e uomini che sanno di dopobarba. Ma anche qui, per quanto possa sembrare tutto normale e standard, scendi dall’autobus e trovi la ragazza con i lineamenti asiatici, bellissima in tailleur che elegantemente si toglie le ballerine che ha ai piedi, tira fuori un tacco 12 dalla borsa, fa il cambio scarpe e indossa il suo sorriso migliore entrando in ufficio.
Fisherman’s Wharf e i suoi Pier – Embarcadero. E’ un posto fantastico. Dal porto si vedono i leoni marini che passano la giornata col muso all’insù o a rotolarsi uno sopra l’altro. In lontananza si staglia l’isola di Alcatraz con l’antica prigione.

Il simbolo della città è il Golden Gate Bridge, un ponte suggestivo da cui si vede tutta la baia di San Francisco. Ma la cosa che colpisce di più è il suo svilupparsi tra continue salite e discese. Cammini per una via, guardi sulla destra e ti sembra che la città ti stia crollando addosso, tanto è ripida la strada. Eppure i ragazzi che tornano da scuola con i loro zainetti, loro che quelle vie le percorrono tutti i giorni, sembrano non farci caso.

Il secondo aspetto che sorprende, invece, non riguarda le cose, ma le persone. Quegli uomini e quelle donne che vivono e dormono per strada, soprattutto nei dintorni di Haight Asbury. Sono di un numero impressionante e nessuno sembra curarsi della loro presenza. Molti sono veterani di guerra impazziti, si dice. Altri sembrano soltanto ragazzi senza bussola e senza scopo. Ed è per questo che se San Francisco fosse una donna, di lei si direbbe che può conservare in sé i migliori sentimenti, ma non può spogliarsi di una quotidiana tristezza.”